lunedì 26 gennaio 2015

Le monde magique du Métro parisien...

Come ogni capitale che si rispetti, Parigi ha la sua estesa ed efficiente rete di metropolitane che si articola in 14 linee, per beneficiare  delle quali ogni mese bisogna immolare 90 euro sull'altare violaceo che porta la scritta di "FORFAIT NAVIGO"... Non pochi soldi, ma tutto sommato ben spesi, dato che i mezzi pubblici parigini non sono un terno all'otto, ma sono frequenti e abbastanza puntuali, salvo che, come spesso capita nell'ultimo periodo, un qualche simpatico sbadatone dimentichi un bagaglio incustodito alla Gare de l'Est o a Saint Lazare, così da fermare per lunghi quarti d'ora tutti i treni che passano nelle vicinanze.

Come ogni sistema di mezzi pubblici che si rispetti, anche quello parigino presenta una vario ed interessante ecosistema al suo interno, che la troupe (della famiglia Angela) di Super Quark ha già promesso di indagare.

Primi esemplari che saltano all'occhio... bé, Parigi è pur sempre la città de l'amour, quindi loro: les AMOUREUX, gli innamorati.
Queste dolci coppiette passano la maggior parte del tragitto a sbaciucchiarsi appassionatamente, immaginando che uno stuolo di telecamere, assistenti registi e operatori audio li stiano riprendendo per il remake di Casablanca. Tutto ciò debout, in piedi,o, per i più fortunati, seduti sui seggiolini. Per risparmiare spazio, le coppiette mostrano tutta la loro generosità sedendosi allo stesso posto, uno in braccio all'altro.
Questo slancio di altruismo verso coloro che devono affrontare i viaggi del metrò da poveri célibataires (leggi: singles) non corrisponde affatto ad un picco di intelligenza o senso pratico. No, perché in quel complicato gioco che è il tetris del metrò, se un pezzo inizia ad avere quattro gambe (e magari due valigie) comunque alla fine occupa lo stesso spazio che occuperebbero i due sedendosi su due seggiolini contigui. Questo almeno eviterebbe di consegnare false speranze ai célibataires che dal binario vedono un posto libero, ma arrivati si rendono subito conto che è soltanto fittizio, perché non possono fisicamente starci, salvo che il loro guardaroba non provenga prevalentemente dai reparti da 0 a 5 anni...

Seconda specie di animaux-au-métro: i letterati. Costoro sfruttano quella lunga percentuale di giornata devoluta ai mezzi di trasporto immergendosi nella lettura, sognando, forse, di essere da tutt'altra parte. Fra questi si distinguono in particolare i fanatici, che, in piedi o seduti, nell'ora di punta o all'alba, sia che debbano andare dalla Défense a Vincennes e ritorno, sia che debbano fare una sola fermata, leggono.
La cosa più fastidiosa è che, ovviamente, si accorgono all'ultimo secondo di essere effettivamente arrivati a destinazione e così, brandendo il loro fidato compagno di viaggio, iniziano a spintonare a suon di pardon per arrivare all'uscita.
Leggere è il cibo della mente, ma l'overdose dà alla testa e, soprattutto, dà sui nervi agli altri.

Altri simpatici esemplari andrebbero raccolti sotto il nome di Noblesse tombée (nobiltà decaduta, forse l'espressione non esiste, ma ça va...). Segni distintivi della categoria sono:
-i guanti (preferibilmente in pelle), che permettono loro di evitare il contatto diretto con le aste di metallo contaminate dalla plebe per sorreggersi
-il sopracciglio destro leggermente inarcato
-la piega sinistra della bocca leggermente distorta, in un'espressione di disgusto totale che comunica al mondo quale sacrificio sia per loro mischiarsi con il popolo, solo per arrivare in orario ad un rendez-vous.

Infine, last but not least, meritano senza dubbio una menzione le signore di origine africana con i loro  abiti variopinti che, entrando in tre o quattro nella stessa carrozza, con le loro stazze non esattamente esili, saturano tutto lo spazio disponibile. Così, quando stai per scendere e inizi a distribuire gomitate ed excusez-moi, ti trovi davanti a loro che, con aria leggermente divertita, ti fissano e sembrano dirti: "prova a passare, se ce la fai". Fingono poi di muoversi per lasciarti una qualche via di fuga, ma senza troppo successo, finché una qualche buona anima nei paraggi tira in dentro la pancia e ti concede un interstizio dal quale filtra l'aria dell'esterno.
Scoprendo doti ed equilibrio da contorsionista che non pensavi di avere, riesci finalmente a raggiungere la porta e quindi il binario.

Anche questa volta sei riuscito a sopravvivere al magico mondo del metrò parigino...

... ah no, hai sbagliato fermata. Niente, ricomincia tutto da capo.

p.s. meriterebbe un capitolo a parte la descrizione dei giochi di sguardi nei vagoni del metrò... per questo vi rimando ad un simpatico video consigliatomi dal professore di francese durante la settimana di accoglienza

martedì 20 gennaio 2015

Tout le monde peut cuisiner

Vi ricordate di questa frase dello chef Gusteau?
"Chiunque può cucinare".
E' questo il motto che spinge il topino Rémy ad ingeniarsi fino a diventare chef. Tutto ciò nel film della Disney Ratatouille.

Ormai abbiamo imparato fin troppo bene che bisogna un po' diffidare dei film della Disney, ma io, povero ingenuo, credevo di arrivare nella capitale francese e mettermi ai fornelli a prepare deliziosi manicaretti per me stesso. Meglio ancora, sognavo di fare esperimenti di pasticceria, di creare variopinti macarons, di ricoprire gli éclairs di glassa al cioccolato oppure far saltare per aria profumatissime crepes...

Ecco, i miei sogni si sono infranti contro un mini angolo cottura con due piccole piastre ad induzione, un lavandino dove ci sta un solo piatto in verticale, un pianale dove non riesci ad affettare neanche un limone. E nemmeno un forno, neanche un piccolo forno a micro-onde, impensabile da comprare per ragioni di spazio.

Quindi, mio caro Gusteau, mi spiace contraddirti, ma non è vero che "tout le monde peut cuisiner". Può cucinare solo chi ha una cucina, degna di questo nome.

Bé, ma se non cucinare, si potrà pur sempre mangiare, lungo le rive della placida Senna!
Certo, avendo una cartebleu (possibilmente francese) puoi fare di tutto... se sei disposto a pagare 2.80 per un caffé.

Ma cosa importa? In fondo, avrai sempre Parigi...

TRANSLATION:

Do you remember this chef Gusteau's sentence?
Anyone can cook”. This is the MOTTO that pushes the little mouse Rémy to improve himself and become a chef. All this in Disney movie Ratatouille.

We have already learnt that we can't trust Dinsey's movies but as a poor naif boy, I believed to arrive in Paris and become a great self-made chief, preparing tasty delicious dishes only for me. Better, I dreamed to make haute patisserie experiments, creating multicoloured macarons, covering éclairs with chocolate glaze and making fragrant crepes jump in the air...

Well, my dreams broke against such a little kitchenette with two small hot plates, a sink large enough for just one plate put plumb-line and no surface to cut a lemon on. And no oven, no micro-wawes, neither a small one.

So, my dear Gusteau, I'm sorry to contradict you, but it's not true that “anyone can cook”. Only who has a kitchen worth the name can cook.

But, if you can't cook, you can always eat, by the Senne river!
Of course! If you have a cartebleu (French, possibly) you can do everything... if it's ok for you to pay 2.80 euros for a coffee.

But, finally, what's the problem? You'll always have Paris...

domenica 18 gennaio 2015

S'en aller? Bon courage!

Non so se quello che è capitato a me sia una cosa eccezionale oppure capiti molto di frequente. Sta di fatto che la scelta di partire è maturata in un momento in cui, oberato dalla noia della routine, invaso da una voglia matta di cambiare qualcosa della mia vita che non fosse il taglio dei capelli, andarmene sembrava l'unica soluzione possibile.
Questo quasi un anno fa. Poi la decisione è rimasta lì, in un angolo della mia mente, per cui ogni tanto mi dicevo "Ah già, fra tot mesi parto...", ma non ci credevo davvero. Sapevo che si trattava di una cosa da futuro tutt'altro che prossimo.
Poi i giorni, le settimane, i mesi sono passati. Natale, Capodanno, l'Epifania...
"OMG- meglio: Mon Dieu- domani parto".
Poi, il fatidico giorno, mi sono ritrovato davanti a valigie stracolme, armadi vuoti, al mio letto senza cuscino (sì, perchè il mio cuscino mi segue ovunque io vada), ad una batteria di pentole destinate a venire con me Oltralpe. E non poteva mancare una scatola di generi di conforto, con qualche pacco di pasta Barilla e della passata di pomodoro.
Lì mi sono reso conto che non si trattava di una vacanza, ma di un trasloco, qualcosa di completamente diverso.
Ecco poi i saluti, i sorrisi, gli abbracci dei parenti e degli amici, che avevano in sé qualcosa di assolutamente nuovo rispetto a prima. O forse non erano loro ad avere qualcosa di nuovo, ma la novità era in me. Ed era la consapevolezza che, anche se talvolta mi sono sentito solo (come chiunque, credo), solo non lo ero mai stato.
Pensavo che partire sarebbe stato più facile, ma pas du tout! Ma dovevo provarlo per capirlo e, soprattutto, per gustarmi tutto quello che verrà dopo!


p.s. prometto che da oggi in poi cercherò di non pubblicare più post sul malinconico andante :) 

TRANSLATION:
  
I don't know if what has happened to me is something exceptional or it quite often occurs .
The matter is that when I decided to leave I was so bored by daily routine, I wanted to change something in my life that wasn't just my hair : leaving seemed the only solution.
This was a year ago, more or less. After, my decision was left there, in a corner of my mind and so sometimes I said: “Oh yes, I'm leaving in X months...” but I didn't really believe it. I knew that it was just a distant future event.
Then days, weeks, months passed. Christmas, New Year's Eve...
“OMG- better: Mon Dieu- tomorrow I' m leaving!”.
Then, THE day arrived and I was there staring at full suitcases, empty wardrobes, at my bed without pillow (yes, my pillow follows me wherever I go), at …. pots ready to come with me to France. And, of course, there was pasta, tomato sauce and other food...
There, I realised that it wasn't a holiday, but a move, something totally different.
And then: greetings, smiles and hugs of family and friends had something absolutely new. Or, maybe, it wasn't them having something new. It was me. And it was the awareness that, even if sometimes I had felt alone, I had never been so.
I thought leaving would be easy, but pas du tout! But I had to try to understand and, aboveall, to enjoy all what will come afterwards!

giovedì 15 gennaio 2015

Halo? C'est Ale!- Le debut


Una persona può iniziare a scrivere per tante ragioni. C'è chi muore dalla voglia di far sapere agli altri tutto quello che fa, ogni luogo che visita. C'è chi scrive per tenersi in contatto con gli altri. C'è chi scrive per combattere la solitudine e chi per far sapere al mondo intero quello che pensa.

Io inizio a scrivere un po' per tutte queste ragioni messe assieme. Al momento mi trovo lontano dalla mia città. Sono partito per l'Erasmus e per cinque (lunghi?) mesi abiterò a circa mille chilometri da casa mia.
Dove? A Parigi, la ville lumière, la città più bella del mondo e bla bla bla...
In realtà, non abito esattamente sotto le luci scintillanti della tour Eiffel e dalla mia camera non si sentono affatto le campane di Notre Dame, ma ogni tanto solo lo sferragliare dei treni diretti alla Gare du Nord.
Dico a Parigi per semplicità. In realtà la mia personale Versailles di 14 metri quadri è ubicata in un poco ridente, ma dignitoso angolo di banlieu parigina, dove è molto più frequente annusare nell'aria l'odore di kebab che la fragranza calda di croissants e baguettes.

Sono arrivato a Parigi sotto un cielo plumbeo, il 9 gennaio 2015. Sono arrivato in una città ferita, nei convulsi giorni successivi all'attentato a Charlie Hebdo, nei giorni della caccia agli attentatori e quant'altro.

Sono arrivato in una città piangente, ma piena di forza e di coraggio e ho cercato di assorbire un po' di quel coraggio per superare le mie invisibili, certamente meno drammatiche, personalissime lacrime.

Partire e scrivere sono due attività all'apparenza opposte: una è così attiva, dinamica, l'altra così statica, riflessiva. Forse opposte, ma certamente complementari.
Si parte per lasciarsi qualcosa alle spalle, per prendersi una pausa dalla monotonia, per conoscere meglio sè stessi ed affrontare i propri limiti.
Si scrive per guardarsi dentro, per accorgersi che quella vita che ci pare monotona forse è molto più ricca di quanto non pensiamo, si scrive per capire che, fra tutte quelle cose lasciate, ce n'è almeno una che merita
il nostro ritorno.

Per queste ragioni sono partito, per queste ragioni ho iniziato a scrivere e se avrete la bontà e la pazienza di leggere ancora le mie parole, condividerò con voi le riflessioni lungo questa avventura parisienne lontano da chez moi.




 TRADUCTION en FRANCAIS!!!

Une personne peut commencer à écrire pour différentes raisons. Quelqu'un a hâte de faire savoir aux autres tout ce qu'il fait, tout lieu qu'il visite. Il y a quelqu'un qui écrit pour rester en contact avec ses amis. Il y a quelqu'un qui écrit pour lutter contre la solitude et quelqu'un d'autre pour faire savoir tout ce qu'il pense à tout le monde.

Moi, je commence à écrire un peu pour toutes ces raisons ensemble. Maintenant, je me trouve loin de ma ville. Je suis parti avec Erasmus et pendant cinq (longs?) mois j'habiterai à environ 1000 kilomètres de chez moi.
Où? A Paris! La ville lumière, la ville la plus belle du monde et bla bla bla...
En effet, je n'habite pas exactement sous les lumières étincelantes de la Tour Eiffel e de ma chambre on n'entend point les cloches de Notre Dame, mais parfois le cliquetis des trains qui vont vers la Gare du Nord.
Je dis Paris par facilité. En realité, ma Versailles de 14 mètres carrés se trouve dans un coin pas très agréable (mais plus ou moins digne) de la banlieu parisienne, où l'on peut sentir plus souvent l'odeur de kebab que celle de croissants et baguettes.

Je suis arrivé à Paris sous un ciel gris acier, le 9 janvier 2015. Je suis arrivé dans une ville blessée, pendant les jours suivants l'attentat à Charlie Hebdo, les jours de la chasse aux terroristes, de l'Hyper cachère et cetera...

Je suis arrivé dans une ville pleurant, mais pleine de force et courage et moi, j'ai essayé d'absorber un peu de ce courage pour surmonter mes invisibles, mais bien sûr moins dramatiques larmes personnelles.

Partir et écrire sont deux activités opposées apparemment: la première est très active, dynamique; la deuxième statique, pensive. Peut-etre opposées, mais sûrement complémentaires.
On part pour laisser derrière quelque chose, pour prendre une pause de la monotonie, pour mieux se connaitre soi-meme et se mesurer à ses propres limites.
On écrit pour réfléchir, pour réaliser que cette vie qui nous semblait si monotone peut-etre est bien plus riche qu'on ne pense. On écrit pour comprendre que, parmi toutes les choses qu'on a abandonnées, il y en a au moins une qui mérite notre retour.

Pour toutes ces raisons je suis parti, pour toutes ces raisons j'ai commencé à écrire et si vous avez la patience et la gentillesse de lire encore mes paroles, je partagerais avec vous mes pensées pendant cette aventure parisienne loin de chez moi.

 Merci a Sandra pour la correction!

ENGLISH TRANSLATION:


A person can begin to write for several reasons: to look forward to let others know everything he does, every place he visits, to keep in touch with others, to fight loneliness or to let everyone know what he thinks.



I've started writing for all these reasons put together. Now, I'm far from my town. I've left for Erasmus and for five (long?) months I'll be living almost one thousand kilometers far from my home.

Where? In Paris, the ville lumière, the most beautiful city in the world and bla bla bla... actually, I don't live exactly under the sparkling lights of the tour Eiffel and from my room I don't hear Notre Dame bells at all, but sometimes only the clank of the trains heading to the Gare du Nord.

I've said Paris for ease. In facts my personal 14- squared meter Versailles is located in a not-so-pleasant, but decent Paris suburb, where you can smell kebab fragrance more frequently than croissants or baguettes.



I arrived in Paris under a lead grey sky, on january 9th 2015. I arrived in an hurt city, in the days immediately after Charlie Hebdo facts, in the days where terrorists where hunted and so on...



I arrived in a crying city, but full of strength and courage and I tried to absorb a bit of that courage to overcome (overwhelm?) my invisible, obviously less drammatic, very private tears.



Leaving and writing are such different activities apparently: the former is so active, dinamic, the latter so static and pensive. Perhaps opposed, but certainly complementary.

We can leave to relinquish something, to take a break from the monotonyof live, to get to know ourselves and cope with our limits.

We can write to go deep, to realize the life that seems so boring for us is richer than we had thought. We can write to understand that, among all those things relinquished, there's at least one that deserves our return.



For all these reasons I've left, for all these reasons I've strated to write and if you have the patience and the kindness to continue reading my words, I'll share my thoughts with you during this adventure far from chez moi.