martedì 1 novembre 2016

IL MIO NO A QUESTA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE...


Ormai sappiamo (fin troppo bene) che presto saremo chiamati a dare il nostro voto su una vastissima riforma della Costituzione, varata definitivamente dal Parlamento il 12 aprile 2016.
Ce lo ricordano continuamente le polemiche tanto alacremente riportate dai Tg, ce l'ha ricordato l'ambasciatore americano (sigh…) e pure l'agenzia di rating Fitch…
Però, prima di spiegare il perché della mia posizione, mi preme fare un passo indietro, per dare un senso logico al discorso che seguirà.

Alcune premesse...

Vorrei iniziare cercando di spiegare cos'è una Costituzione, per quello che posso averne capito dopo 4 anni di giurisprudenza e la formazione costituzionalistica che ho avuto l'onore di ricevere nella mia (ex-) facoltà, ora Dipartimento.
Partiamo dall'origine della parola, sostantivo derivato da con-stituere, cioè dare stabile assetto. Nell'epoca romana le costituzioni erano quegli atti normativi fondamentali che provenivano dall'autorità suprema, in particolare dal princeps. Col passare del tempo “costituzione” è diventato sinonimo di Legge Fondamentale.
Mi piace pensare che quell'antico prefisso con- (che conferiva al termine un significato di stabilità, di fermezza) col tempo abbia finito sempre di più per assimilarsi al cum-, cioè a quella sfumatura di decisione non solo stabile e duratura, ma anche con-divisa, elemento di unione e mutuo riconoscimento, non di scontro e divisione.

Bene, questa nostra Legge Fondamentale sta, appunto, alla base di tutto l'ordinamento: stabilisce quali sono i diritti e (sì, signori) anche i doveri dei cittadini, stabilisce da chi e come questi diritti e doveri possono essere fatti valere, stabilisce chi ha il potere di aumentare o restringere questi diritti e doveri, secondo precisi limiti e procedure prestabilite.
LIMITE: è questa la parola magica.
Una Costituzione che si rispetti è un intreccio, complesso e sapiente, di limiti. Se c'è qualcuno che può fare praticamente tutto e non ha limiti, beh, allora ci si inizia a collocare fuori da quel modello che è lo Stato Costituzionale di diritto, conquistato con grandi e atroci sofferenze dai Popoli.
Mi preme dirlo (citando qualcuno molto più saggio ed esperto di me): in uno Stato Costituzionale NESSUNO può far tutto, nemmeno quell'astratta entità che è il Popolo Sovrano (leggi maggioranza).

Non credo che la nostra Costituzione sia perfetta. Credo che sia stata genialmente concepita e redatta, credo che abbia tratti rivoluzionari che non appartengono a nessun'altra Carta. Però penso sia assolutamente MODIFICABILE (secondo le sue stesse previsioni racchiuse nell'art. 138) ed anzi MIGLIORABILE, sotto alcuni profili. Profili che questa riforma si è ben guardata dal toccare.

1) CHIAREZZA, QUESTA SCONOSCIUTA
Primo grande, macroscopico neo della riforma è la totale carenza di limpidezza. Vi invito a leggere personalmente il testo, magari con a fianco gli articoli attualmente in vigore: una confusione, sintattica e giuridica, che riflette probabilmente la mente di chi l'ha concepita.
Due esempi eclatanti sul ruolo di questo nuovo Senato:

- il Senato non sarà più eletto direttamente dal corpo elettorale (già qui, si nota, tutti noi come elettori e cittadini perdiamo un po' di capacità di incidere sulla vita politica del Paese, però tutto sommato faremmo compagnia a più o meno tutta Europa), ma dai consigli regionali “con metodo proporzionale… .in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio” (nuovo art. 57)
Tralasciando il fatto che dovrà essere approvata una legge che specifichi meglio questa disposizione (ma sul punto, vedi in seguito), sorgono alcuni ENORMI interrogativi.
Primo fra tutti: ma eleggeremo (ops, lapsus: eleggeranno) i senatori in base ai voti espressi dai cittadini nelle elezioni regionali O in proporzione alla composizione del consiglio???
Non è esattamente la stessa cosa: in tutte le regioni ordinarie il consiglio viene formato NON in base al voto dei cittadini per le liste, ma in base al CANDIDATO PRESIDENTE ELETTO che, si badi, può risultare eletto con 100 voti in più rispetto al secondo (solo la Toscana prevede ora un ballottaggio se nessuno supera il 40%).
Es: il consiglio regionale della Lombardia ha 80 consiglieri, Tizio vince con il 30% dei voti => le liste che sostengono Tizio hanno il 50% più uno dei seggi.
Dunque le liste di Tizio eleggeranno il 30% dei senatori riservati alla Lombardia o il 50% degli stessi???
Si vede subito che non è proprio la stessa cosa, con buona pace del diritto di voto (che, fra l'altro, è diritto ad ESSERE RAPPRESENTATI da qualcuno che abbiamo eletto: ma questa è un'altra storia).
A ciò aggiungiamo che il Senato comunque prenderà parte alla formazione e approvazione delle leggi costituzionali, esattamente come la Camera… quindi quale legittimazione avranno i senatori eletti in siffatta maniera per cambiare la LEGGE FONDAMENTALE, il “patto che ci lega”???


- art. 55 “(il Senato) Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo
nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato”.

Cosa significa tutto ciò??? Qual è il senso profondo di questo verbo “valutare”? Personalmente mi evoca ricordi scolastici… dunque il Senato darà un voto (Buono- distinto- ottimo) sui temi sopracitati? E se il voto fosse “insufficiente”, che succede?
E la partecipazione all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'UE??? Come dovrebbe svolgersi?? Quindi la legge di delegazione europea (cioè quella legge che, semplificando, annualmente recepisce le direttive europee, rendendole applicabili in territorio italiano) deve essere approvata anche da questo Senato partecipante oppure no??? e se no, in che modo l'aula di palazzo Madama vi parteciperebbe???


2) TUTTO AL CENTRO… SALVANDO QUALCUNO
La riforma si ispira ad un protagonismo delle istituzioni centrali: le Regioni vedono ridotte notevolmente le loro competenze, a favore di uno Stato sempre più influente, con un consequenziale allontanamento del livello di governo dal cittadino.
A mio modesto avviso, una riforma (o almeno qualche aggiustamento) dell'articolazione Stato-Regioni era necessaria, anche per imprimere una scelta definitiva sulla forma di Stato da realizzare: vogliamo essere uno stato federale, sì o no? Vogliamo prendere atto delle enormi differenze che esistono in Italia e comportarci intelligentemente di conseguenza, sì o no?
Beh, la risposta è stata NO. Viaggiamo verso un modello di centralismo alla francese, che però dimentica alcuni dettagli storico-sociologici fondamentali, come, per esempio, il fatto che la Francia è uno stato nazionale, unificato, almeno dal 1453, quando si concluse la guerra dei Cent'anni.

Ma la vera chicca, la vera ciliegina sulla torta sono loro: le REGIONI A STATUTO SPECIALE, che miracolosamente sopravvivono ad ogni riforma, sempre intonse in quelli che sono PRIVILEGI, cioè trattamenti ALTAMENTE differenziati rispetto alle altre, per ragioni che, tra l'altro, pare inizino a sbiadire col tempo (ammesso che siano mai state davvero giustificate).
Come mai i Trentini devono godere di tutta una serie di privilegi, solo perché i loro vicini parlano tedesco o un dialetto austrobavarese… oppure: perché i Friulani devono avere un trattamento differenziato per il solo fatto di abitare in una regione al confine con la Slovenia? E la Sicilia? Basta la lingua di mare che separa Messina da Villa San Giovanni a renderla speciale?
Nemmeno la doppia lingua è ormai una sufficiente giustificazione: per quale arcana ragione il bilinguismo (sacrosanto, che, anzi, dovrebbe essere promosso anche altrove) dovrebbe essere indissolubilmente intrecciato con l'autonomia legislativa, amministrativa e fiscale???? Con, per di più, un sistema elettorale differenziato alle elezioni nazionali!!!
La riforma, poco elegantemente, glissa sul punto: gli speciali sempre più speciali, gli ordinari sempre più ordinari!

3) QUELLO CHE NON CAMBIA (e forse avrebbe dovuto cambiare)
Mi sono convinto che la riforma, incasinando il resto, si sia ben guardata dal toccare punti fondamentali (ma forse un po' “di nicchia”) per la vita democratica del Paese.
Già prese in considerazione le sempiterne Regioni a Statuto Speciale, mi pare, in particolare, che due questioni siano state accuratamente tralasciate.

La prima è quella dell'art. 66, a mente del quale “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Questa disposizione iper-tecnica in realtà stabilisce una cosa basilare: è la Camera stessa che decide se un parlamentare può sedere fra i banchi dell'Assemblea. Nessun giudice esterno (vorrei dire: terzo e imparziale) può immischiarsi in queste scelte. Dunque può succedere (anzi: è successo!!!) che addirittura venga confermato nella carica il secondo arrivato, a discapito del primo, solo perché la Camera (cioè gli altri parlamentari) sceglie di non mutare i suoi equilibri politici interni.
Quindi fa niente se il primo (magari dello schieramento che è in leggera minoranza) avrebbe effettivamente DIRITTO a rappresentare la maggioranza degli elettori che lo ha scelto (e conseguentemente costoro di essere rappresentati): la decisione dell'Aula è insindacabile.
Forse un ritocchino questa norma lo avrebbe meritato, nel segno di una maggiore e più trasparente democrazia.

Vogliamo poi parlare della CIRCOSCRIZIONE ESTERO??? Questa fantastica invenzione di Mirko Tremaglia permette a coloro che sono italiani residenti all'estero di eleggere dei propri rappresentanti (neanche pochissimi: 12 deputati, 6 senatori, in un numero fisso che non varia in base alla popolazione).
Rappresentanti che spesso hanno avuto un ruolo non indifferente negli equilibri politici del Parlamento (penso al governo Prodi II), a fronte di un legame estremamente flebile con l'Italia (trisnipoti per parte di madre di italiani emigrati) e tendenzialmente una altrettanto dubbia padronanza dell'Italiano o almeno di un dialetto italico, passando poi sotto silenzio la residenza fiscale degli stessi (perché se vale il principio no taxation without representation FORSE dovrebbe valere anche l'inverso!).
La riforma ha perso un'occasione per riordinare la materia, magari rivedendo le condizioni per poter votare come residente all'estero o stabilendo di sommare tali voti a quelli delle popolazioni residenti, in circoscrizioni territoriali INTERNE alle frontiere italiane.



4) UNA RIFORMA SOSPESA
La riforma costituzionale è la riforma delle incognite. Una serie infinita di disposizioni (come quella sull'elezione dei senatori di cui parlavo poc'anzi) rimanda a normative ulteriori: leggi costituzionali (es. il nuovo tipo di referendum propositivo), leggi ordinarie bicamerali, leggi ordinarie monocamerali, regolamenti delle Camere…
Di fatto è una non-riforma, nel senso che dalla sua attuazione potrebbe cambiare tutto, giocando proprio sulla vaghezza delle disposizioni (anche qui, vedi sopra). Potremmo arrivare ad avere un Senato che dà un voto da 1 a 10 alle politiche pubbliche oppure una Camera Alta decisamente più protagonista (cosa di cui, francamente, dubito).
Potremmo avere uno “statuto delle opposizioni parlamentari” (art. 64) incredibilmente democratico ed ispirato alle migliori prassi, oppure qualche norma all'acqua di rose che renda persino superflua la stessa definizione di opposizione.
E se le disposizioni sono vaghe, ampie, indeterminate… che LIMITI incontra chi dovrà decidere come applicarle? Pochi o nessuno! E mi ripeto: una Costituzione che non dia limiti non è una gran buona Costituzione!! Perché magari per qualche tempo saremo dalla parte della maggioranza che decide… ma se passassimo in minoranza? Come la mettiamo?
Sono domande a cui non si può rispondere a cuor leggero.



5) PROBLEMI DI METODO, ma anche di SOSTANZA
Memori di quanto abbiamo letto o studiato, tutti noi sappiamo che la Costituzione nacque dal dialogo difficile, ma fecondo di partiti politici e forze sociali antitetiche. Questo spirito è stato trasfuso nelle norme che disciplinano la sua revisione: l'articolo 138 richiede almeno la maggioranza assoluta nella deliberazione finale, che arriva a seguito di un intervallo di tre mesi da una deliberazione precedente. Ciascuna Camera deve quindi approvare due volte lo stesso testo, lasciando trascorrere questo lasso di tempo.
Non è solo un semplice aggravio procedurale volto a sottolineare l'importanza (direi: la sacralità) del momento, è un'indicazione di metodo che ricorda come la Costituzione debba riunire attorno a sé tutti quanti o almeno la stragrande maggioranza (tant'è che se la legge di revisione viene approvata con i 2/3 dei voti dei parlamentari non ha luogo il referendum).

Realizzare una riforma così ampia e così profonda del testo costituzionale senza raccogliere un largo consenso in Parlamento già di per sé dovrebbe far dubitare della bontà della scelta, proprio perché tradisce quello Spirito immanente nella Costituzione.
C'è poi un dettaglio che difficilmente può essere taciuto: l'attuale Parlamento è stato eletto con una legge elettorale dichiarata ILLEGITTIMA dalla Corte Costituzionale, cioè contraria alla Costituzione.
Quindi un'assemblea di Signori che nella realtà delle cose non rappresentano nessuno, se non gli algoritmi che hanno consegnato loro i seggi, si prende la briga di realizzare quella che, qualora approvata, diverrà la più grande ( e malfatta) revisione della Legge fondamentale mai realizzata.
Eletti in violazione dei principi della Costituzione, modificano la Costituzione stessa!!! Sembra paradossale, ma è Storia (triste) che stiamo vivendo.

E allora, tornando a bomba, che fine ha fatto quel prefisso cum- che identifica sia la solidità (che in questa riforma campata per aria non esiste) che la decisione comune, la condivisione di idee e valori, prima ancora che di norme?
Io personalmente mi RIFIUTO di legittimare tutto ciò con il mio voto e, nel mio piccolo, non posso che invitare tutti a fare altrettanto.
E, anzi, faccio un appello ai disinteressati, disinformati, confusi o indecisi che siano: il giorno del referendum, se siete ancora in dubbio, NON VOTATE.
Perché sulle Trivelle si può sempre cambiare la legge, perché alle politiche si vota per un Parlamento che dura 5 anni (ma tendenzialmente di meno)… ma qui c'è in gioco l'EREDITÀ PASSATA, la VITA PRESENTE e la DEMOCRAZIA FUTURA della nostra Repubblica e, una volta riformata, NON SI POTRÀ tornare indietro (anche perché nei fatti rischia di essere impossibile trovare una maggioranza che RI-modifichi strutturalmente la Carta in entrambe le Camere!!!).
Peraltro, credo che la Costituzione attuale mi supporti in questo invito, dal momento che NON esiste quorum per il referendum costituzionale.
Dico NO, non perché sono contrario pregiudizialmente al cambiamento. Dico NO perché credo che si possa cambiare in maniera coerente con i propri principi.
Come mi è già capitato di dire, si può cambiare vita senza cambiare anima.
Non svendiamo l'anima della nostra Costituzione.

Per il testo della riforma con a fronte quello della Costituzione vigente: http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AC0500N.Pdf