Ormai
sappiamo (fin troppo bene) che presto saremo chiamati a dare il
nostro voto su una vastissima riforma della Costituzione, varata
definitivamente dal Parlamento il 12 aprile 2016.
Ce
lo ricordano continuamente le polemiche tanto alacremente riportate
dai Tg, ce l'ha ricordato l'ambasciatore americano (sigh…) e pure
l'agenzia di rating Fitch…
Però, prima
di spiegare il perché della mia posizione, mi preme fare un passo
indietro, per dare un senso logico al discorso che seguirà.
Alcune
premesse...
Vorrei
iniziare cercando di spiegare cos'è una Costituzione, per quello che
posso averne capito dopo 4 anni di giurisprudenza e la formazione
costituzionalistica che ho avuto l'onore di ricevere nella mia (ex-)
facoltà, ora Dipartimento.
Partiamo
dall'origine della parola, sostantivo derivato da con-stituere, cioè
dare stabile assetto. Nell'epoca
romana le costituzioni erano quegli atti normativi fondamentali che
provenivano dall'autorità suprema, in particolare dal princeps.
Col passare del tempo “costituzione” è diventato sinonimo di
Legge Fondamentale.
Mi
piace pensare che quell'antico prefisso con- (che
conferiva al termine un significato di stabilità, di fermezza) col
tempo abbia finito sempre di più per assimilarsi al cum-,
cioè a quella sfumatura di
decisione non solo stabile e duratura, ma anche con-divisa,
elemento di unione e mutuo riconoscimento, non di scontro e
divisione.
Bene,
questa nostra Legge Fondamentale sta, appunto, alla base di tutto
l'ordinamento: stabilisce quali sono i diritti e (sì, signori) anche
i doveri dei cittadini, stabilisce da chi e come questi diritti e
doveri possono essere fatti valere, stabilisce chi ha il potere di
aumentare o restringere questi diritti e doveri, secondo precisi
limiti e procedure prestabilite.
LIMITE:
è questa la parola magica.
Una
Costituzione che si rispetti è un intreccio, complesso e sapiente,
di limiti. Se
c'è qualcuno che può fare praticamente tutto e non ha limiti, beh,
allora ci si inizia a collocare fuori da quel modello che è lo Stato
Costituzionale di diritto, conquistato con grandi e atroci sofferenze
dai Popoli.
Mi
preme dirlo (citando qualcuno molto più saggio ed esperto di me): in
uno Stato Costituzionale NESSUNO
può far tutto, nemmeno quell'astratta entità che è il Popolo
Sovrano (leggi maggioranza).
Non
credo che la nostra Costituzione sia perfetta. Credo che sia stata
genialmente concepita e redatta, credo che abbia tratti rivoluzionari
che non appartengono a nessun'altra Carta. Però penso sia
assolutamente MODIFICABILE (secondo le sue stesse previsioni
racchiuse nell'art. 138) ed anzi MIGLIORABILE, sotto alcuni profili.
Profili che questa riforma si è ben guardata dal toccare.
1)
CHIAREZZA, QUESTA SCONOSCIUTA
Primo
grande, macroscopico neo della riforma è la totale carenza di
limpidezza. Vi invito a leggere personalmente il testo, magari con a
fianco gli articoli attualmente in vigore: una confusione, sintattica
e giuridica, che riflette probabilmente la mente di chi l'ha
concepita.
Due
esempi eclatanti sul ruolo di questo nuovo Senato:
- il
Senato non sarà più eletto direttamente dal corpo elettorale (già
qui, si nota, tutti noi come elettori e cittadini perdiamo un po' di
capacità di incidere sulla vita politica del Paese, però tutto
sommato faremmo compagnia a più o meno tutta Europa), ma dai
consigli regionali “con metodo proporzionale… .in
ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”
(nuovo art. 57)
Tralasciando
il fatto che dovrà essere approvata una legge che specifichi meglio
questa disposizione (ma sul punto, vedi in seguito), sorgono alcuni
ENORMI interrogativi.
Primo
fra tutti: ma eleggeremo (ops, lapsus: eleggeranno) i senatori in
base ai voti espressi dai cittadini nelle elezioni regionali O
in proporzione alla composizione del consiglio???
Non
è esattamente la stessa cosa: in tutte le regioni ordinarie il
consiglio viene formato NON in base al voto dei cittadini per le
liste, ma in base al CANDIDATO PRESIDENTE ELETTO che, si badi, può
risultare eletto con 100 voti in più rispetto al secondo (solo la
Toscana prevede ora un ballottaggio se nessuno supera il 40%).
Es:
il consiglio regionale della Lombardia ha 80 consiglieri, Tizio vince
con il 30% dei voti => le liste che sostengono Tizio hanno il 50%
più uno dei seggi.
Dunque
le liste di Tizio eleggeranno il 30% dei senatori riservati alla
Lombardia o il 50% degli stessi???
Si
vede subito che non è proprio la stessa cosa, con buona pace del
diritto di voto (che, fra l'altro, è diritto ad ESSERE RAPPRESENTATI
da qualcuno che abbiamo eletto: ma questa è un'altra storia).
A
ciò aggiungiamo che il Senato comunque prenderà parte alla
formazione e approvazione delle leggi costituzionali, esattamente
come la Camera… quindi quale legittimazione avranno i senatori
eletti in siffatta maniera per cambiare la LEGGE FONDAMENTALE, il
“patto che ci lega”???
-
art. 55 “(il
Senato) Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e
all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione
europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle
pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche
dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri
sulle nomine di competenza del Governo
nei
casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi
dello Stato”.
Cosa
significa tutto ciò??? Qual è il senso profondo di questo verbo
“valutare”?
Personalmente mi evoca ricordi scolastici… dunque il Senato darà
un voto (Buono- distinto- ottimo) sui temi sopracitati? E se il voto
fosse “insufficiente”, che succede?
E
la partecipazione all'attuazione degli atti normativi e delle
politiche dell'UE??? Come dovrebbe svolgersi?? Quindi la legge di
delegazione europea (cioè quella legge che, semplificando,
annualmente recepisce le direttive europee, rendendole applicabili in
territorio italiano) deve essere approvata anche da questo Senato
partecipante
oppure no??? e se no, in che modo l'aula di palazzo Madama vi
parteciperebbe???
2)
TUTTO AL CENTRO… SALVANDO QUALCUNO
La
riforma si ispira ad un protagonismo delle istituzioni centrali: le
Regioni vedono ridotte notevolmente le loro competenze, a favore di
uno Stato sempre più influente, con un consequenziale allontanamento
del livello di governo dal cittadino.
A
mio modesto avviso, una riforma (o almeno qualche aggiustamento)
dell'articolazione Stato-Regioni era necessaria, anche per imprimere
una scelta definitiva sulla forma di Stato da realizzare: vogliamo
essere uno stato federale, sì o no? Vogliamo prendere atto delle
enormi differenze che esistono in Italia e comportarci
intelligentemente di conseguenza, sì o no?
Beh,
la risposta è stata NO. Viaggiamo verso un modello di centralismo
alla francese, che però dimentica alcuni dettagli
storico-sociologici fondamentali, come, per esempio, il fatto che la
Francia è uno stato nazionale, unificato, almeno dal 1453, quando si
concluse la guerra dei Cent'anni.
Ma
la vera chicca, la vera ciliegina sulla torta sono loro: le REGIONI A
STATUTO SPECIALE, che miracolosamente sopravvivono ad ogni riforma,
sempre intonse in quelli che sono PRIVILEGI, cioè trattamenti
ALTAMENTE differenziati rispetto alle altre, per ragioni che, tra
l'altro, pare inizino a sbiadire col tempo (ammesso che siano mai
state davvero giustificate).
Come
mai i Trentini devono godere di tutta una serie di privilegi, solo
perché i loro vicini parlano tedesco o un dialetto austrobavarese…
oppure: perché i Friulani devono avere un trattamento differenziato
per il solo fatto di abitare in una regione al confine con la
Slovenia? E la Sicilia? Basta la lingua di mare che separa Messina da
Villa San Giovanni a renderla speciale?
Nemmeno
la doppia lingua è ormai una sufficiente giustificazione: per quale
arcana ragione il bilinguismo (sacrosanto, che, anzi, dovrebbe essere
promosso anche altrove) dovrebbe essere indissolubilmente intrecciato
con l'autonomia legislativa, amministrativa e fiscale???? Con, per di
più, un sistema elettorale differenziato alle elezioni nazionali!!!
La
riforma, poco elegantemente, glissa sul punto: gli speciali sempre
più speciali, gli ordinari sempre più ordinari!
3)
QUELLO CHE NON CAMBIA (e forse avrebbe dovuto cambiare)
Mi
sono convinto che la riforma, incasinando il resto, si sia ben
guardata dal toccare punti fondamentali (ma forse un po' “di
nicchia”) per la vita democratica del Paese.
Già
prese in considerazione le sempiterne Regioni a Statuto Speciale, mi
pare, in particolare, che due questioni siano state accuratamente
tralasciate.
La
prima è quella dell'art. 66,
a mente del quale “Ciascuna Camera giudica dei titoli di
ammissione dei propri componenti e delle cause sopraggiunte di
ineleggibilità e di incompatibilità”.
Questa
disposizione iper-tecnica in realtà stabilisce una cosa basilare: è
la Camera stessa che decide se un parlamentare può sedere fra i
banchi dell'Assemblea. Nessun giudice esterno (vorrei dire: terzo
e imparziale) può immischiarsi
in queste scelte. Dunque può succedere (anzi: è successo!!!) che
addirittura venga confermato nella carica il secondo arrivato, a
discapito del primo, solo perché la Camera (cioè gli altri
parlamentari) sceglie di non mutare i suoi equilibri politici
interni.
Quindi
fa niente se il primo (magari dello schieramento che è in leggera
minoranza) avrebbe effettivamente DIRITTO a rappresentare la
maggioranza degli elettori che lo ha scelto (e conseguentemente
costoro di essere rappresentati): la decisione dell'Aula è
insindacabile.
Forse
un ritocchino questa norma lo avrebbe meritato, nel segno di una
maggiore e più trasparente democrazia.
Vogliamo
poi parlare della CIRCOSCRIZIONE
ESTERO??? Questa
fantastica invenzione di Mirko Tremaglia permette a coloro che sono
italiani residenti all'estero di eleggere dei propri rappresentanti
(neanche pochissimi: 12 deputati, 6 senatori, in un numero fisso che
non varia in base alla popolazione).
Rappresentanti
che spesso hanno avuto un ruolo non indifferente negli equilibri
politici del Parlamento (penso al governo Prodi II), a fronte di un
legame estremamente flebile con l'Italia (trisnipoti per parte di
madre di italiani emigrati) e tendenzialmente una altrettanto dubbia
padronanza dell'Italiano o almeno di un dialetto italico, passando
poi sotto silenzio la residenza fiscale degli stessi (perché se vale
il principio no taxation without representation FORSE
dovrebbe valere anche l'inverso!).
La
riforma ha perso un'occasione per riordinare la materia, magari
rivedendo le condizioni per poter votare come residente all'estero o
stabilendo di sommare tali voti a quelli delle popolazioni residenti,
in circoscrizioni territoriali INTERNE alle frontiere italiane.
4)
UNA RIFORMA SOSPESA
La
riforma costituzionale è la riforma delle incognite. Una serie
infinita di disposizioni (come quella sull'elezione dei senatori di
cui parlavo poc'anzi) rimanda a normative ulteriori: leggi
costituzionali (es. il nuovo tipo di referendum propositivo), leggi
ordinarie bicamerali, leggi ordinarie monocamerali, regolamenti delle
Camere…
Di
fatto è una non-riforma, nel senso che dalla sua attuazione potrebbe
cambiare tutto, giocando proprio sulla vaghezza delle disposizioni
(anche qui, vedi sopra). Potremmo arrivare ad avere un Senato che dà
un voto da 1 a 10 alle politiche pubbliche oppure una Camera Alta
decisamente più protagonista (cosa di cui, francamente, dubito).
Potremmo
avere uno “statuto delle opposizioni parlamentari” (art. 64)
incredibilmente democratico ed ispirato alle migliori prassi, oppure
qualche norma all'acqua di rose che renda persino superflua la stessa
definizione di opposizione.
E se
le disposizioni sono vaghe, ampie, indeterminate… che LIMITI
incontra chi dovrà decidere come applicarle? Pochi o nessuno! E mi
ripeto: una Costituzione che non dia limiti non è una gran buona
Costituzione!! Perché magari per qualche tempo saremo dalla parte
della maggioranza che decide… ma se passassimo in minoranza? Come
la mettiamo?
Sono
domande a cui non si può rispondere a cuor leggero.
5)
PROBLEMI DI METODO, ma anche di SOSTANZA
Memori
di quanto abbiamo letto o studiato, tutti noi sappiamo che la
Costituzione nacque dal dialogo difficile, ma fecondo di partiti
politici e forze sociali antitetiche. Questo spirito è stato
trasfuso nelle norme che disciplinano la sua revisione: l'articolo
138 richiede almeno la maggioranza assoluta nella deliberazione
finale, che arriva a seguito di un intervallo di tre mesi da una
deliberazione precedente. Ciascuna Camera deve quindi approvare due
volte lo stesso testo, lasciando trascorrere questo lasso di tempo.
Non
è solo un semplice aggravio procedurale volto a sottolineare
l'importanza (direi: la sacralità) del momento, è
un'indicazione di metodo che ricorda come la Costituzione debba
riunire attorno a sé tutti quanti o almeno la stragrande maggioranza
(tant'è che se la legge di revisione viene approvata con i 2/3 dei
voti dei parlamentari non ha luogo il referendum).
Realizzare
una riforma così ampia e così profonda del testo costituzionale
senza raccogliere un largo consenso in Parlamento già di per sé
dovrebbe far dubitare della bontà della scelta, proprio perché
tradisce quello Spirito immanente nella Costituzione.
C'è
poi un dettaglio che difficilmente può essere taciuto: l'attuale
Parlamento è stato eletto con una legge elettorale dichiarata
ILLEGITTIMA dalla Corte Costituzionale, cioè contraria alla
Costituzione.
Quindi
un'assemblea di Signori che nella realtà delle cose non
rappresentano nessuno, se non gli algoritmi che hanno consegnato loro
i seggi, si prende la briga di realizzare quella che, qualora
approvata, diverrà la più grande ( e malfatta) revisione della
Legge fondamentale mai realizzata.
Eletti
in violazione dei principi della Costituzione, modificano la
Costituzione stessa!!! Sembra paradossale, ma è Storia (triste) che
stiamo vivendo.
E
allora, tornando a bomba, che fine ha fatto quel prefisso cum- che
identifica sia la solidità (che in questa riforma campata per aria
non esiste) che la decisione comune, la condivisione di idee e
valori, prima ancora che di norme?
Io
personalmente mi RIFIUTO di legittimare tutto ciò con il mio voto e,
nel mio piccolo, non posso che invitare tutti a fare altrettanto.
E,
anzi, faccio un appello ai disinteressati, disinformati, confusi o
indecisi che siano: il giorno del referendum, se siete ancora in
dubbio, NON VOTATE.
Perché
sulle Trivelle si può sempre cambiare la legge, perché alle
politiche si vota per un Parlamento che dura 5 anni (ma
tendenzialmente di meno)… ma qui c'è in gioco l'EREDITÀ PASSATA,
la VITA PRESENTE e la DEMOCRAZIA FUTURA della nostra Repubblica e,
una volta riformata, NON SI POTRÀ tornare indietro (anche perché
nei fatti rischia di essere impossibile trovare una maggioranza che
RI-modifichi strutturalmente la Carta in entrambe le Camere!!!).
Peraltro,
credo che la Costituzione attuale mi supporti in questo invito, dal
momento che NON esiste quorum per il referendum costituzionale.
Dico
NO, non perché sono contrario pregiudizialmente al cambiamento. Dico
NO perché credo che si possa cambiare in maniera coerente con i
propri principi.
Come
mi è già capitato di dire, si può cambiare vita senza cambiare
anima.
Non
svendiamo l'anima della nostra Costituzione.