(traducción en los comentarios)
C'era
una volta un ramarro marrone.
In
realtà il ramarro era verde, come abbia potuto diventare marrone è
una domanda da porre al cinico inventore di questa combinazione
linguistica alliterante, il quale evidentemente traeva piacere nel
sentir infrangersi i tentativi di poveri malcapitati, che tentavano
di far vibrare quella maledetta R in maniera normale, ma non ci
riuscivano, complice una lingua un po' pigra, un palato un po'
stretto, un cervello disattento.
Tecnicamente
rotacismo, elegantemente erre à la française,
volgarmente erre moscia, bastardemente evve moscia…
quattro espressioni che
designano lo stesso, discriminante fenomeno per cui una classe di
persone speciali
non riescono a pronunciare la R, ma la sostituiscono con i suoni più
svariati: chi con una specie di aspirazione rauca alla tedesca, chi
con una vibrazione della lingua che, come se si vergognasse, se ne
sta ritratta nel palato, chi con una specie di “V”.
Differenze,
queste, estremamente sottili, che certo non possono agilmente
spiegarsi a quei simpaticoni che, nel corso della vita, ti sfidavano
a ripetere il nome del rettile più detestato di sempre, accompagnato
dal colore delle castagne e, di fronte al tuo insuccesso,
sghignazzavano ripetendo “vamavvo mavvone”, tacciandoti di essere
un malmostoso se non accennavi un sorriso sportivo di compassione per
la loro stupidità.
Il
ramarro marrone ha accompagnato i passi del sottoscritto fino a non
molto tempo fa, quando, spaventato all'idea di parlare un castigliano
sbiascicante, finalmente ho deciso di togliermi uno sfizio e andare
dalla logopedista, per vedere quello che si potesse fare.
Le
speranze, a dir la verità, non erano molte: a 23 anni, imparare un
suono completamente nuovo non è affatto semplice per il cervello.
Tre
sedute di un'ora, moltissimi esercizi con la mascella, il palato, le
corde vocali, mentre la lingua articolava i suoni più improbabili e
i familiari ti guardavano come se stessi impazzendo…
Poi,
nel pomeriggio afoso di sabato 30 luglio, all'improvviso, il mio
cervello ha deciso che, in questo mondo dove tutti sognano di essere
diversi, era giunto il tempo per noi di iniziare ad essere come tutti
gli altri.
Ed
ecco emergere, da un interstizio fra la punta della lingua e gli
alveoli dentari,
una R chiara, forte, battente… e dalla coda dell'occhio sinistro
una lacrima un po' stanca, ma felice ed emozionata, per nulla amara:
una carezza sulla guancia.
Bene,
ora io e il rrrramarrrro
abbiamo fatto pace, siamo diventati amici.
Adesso
posso decidere a piacimento se chiamarlo come fanno tutti… oppure
in quell'altro modo, che invece è solo mio.